GATTI DI ROMA

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ASSOCIAZIONE CULTURALE

COLONIA FELINA TORRE ARGENTINA
CENTRO PER LA PROMOZIONE DELLA STERILIZZAZIONE

Largo di Torre Argentina angolo Via Arenula (scavi archeologici) - 00186 Roma  Tel.  +39.0668805611

e-mail: torreargentina@tiscali.it


In memoria di Lia
Venti anni di vita sono un periodo lunghissimo, anche se nel ricordo, che spesso cancella o riassume e confonde tanti avvenimenti, sembrano un soffio. In venti anni si nasce e si diventa adulti.
Venti anni sono passati dal primo giorno in cui conobbi Lia. Avvenne in un giorno di novembre del '93 che potrei anche precisare, se mi mettessi a scartabellare qualche documento. In effetti era il giorno in cui avevo firmato le dimissioni dal lavoro che avevo svolto per trenta anni. Mi sentivo libera. Mi si apriva un ventaglio di possibilità e di decisioni...ma per il momento non feci nulla di avventato: (o almeno così credevo) soltanto una passeggiata nella vecchia Roma. Una cosa molto semplice, banale e sicuramente priva di alcuna conseguenza. Era circa mezzogiorno quando mi trovai a passare di fronte all'area archeologica di Torre Argentina, dove, come tutti i romani, sapevo di poter vedere qualche micio prendere il sole o giocare con i suoi simili. Non sapevo che, insieme con i gatti, c'era anche il fato, con lo stesso musetto malizioso, accovacciato in un angolo tra le rovine, lì proprio per me...
Cercando di individuare i gatti fra le pietre e l'erba alta, scorsi nel bel mezzo dell'area archeologica due belle signore, dall'aspetto elegante e civile, che chiaramente erano lì per i gatti, li cercavano, li accarezzavano, parlavano di loro. Mi dico, ottimista: ma allora c'è qualcuno che si occupa di queste bestiole, non sono lasciate a se stesse, forse c'è un'associazione che ci pensa. Mi accosto, richiamo la loro attenzione, pongo le mie domande. No, non fanno parte di un'associazione. Una di loro, Franca S., un'attrice di prosa, è da qualche anno la gattara del posto, colei che ha organizzato una specie di turnazione fra lei ed altre amiche amanti dei gatti per dedicare un'ora della propria giornata al nutrimento delle bestiole, alla pulizia del luogo, ad attingere l'acqua necessaria presso una fontanella sita qualche stradina più in là. Sembra facile. In realtà l'acquisto mensile del cibo per centinaia di gatti non è una cosa che tutti possano permettersi. Franca ha un gran bisogno di aiuto perché non sempre le riesce di trovare il denaro necessario, per non parlare dei volontari, ed è piena di debiti. Le bestiole hanno anche bisogno di cure. C'è, è vero, un veterinario meraviglioso che ha sterilizzato gratuitamente i gatti nell'ultimo anno. Questo è l'avvio di un cambiamento formidabile, ma ci sono pur sempre medicine da comperare ( al momento tutte le medicine disponibili stanno comode dentro una scatola da scarpe) e sempre nuovi gatti da sterilizzare perché, per i cittadini romani, è "tradizione" abbandonare i propri gatti in eccesso nell'area stessa. Non si rendono conto del male che fanno. Pensano incoscientemente che dove ce ne sono cento ce ne possono stare comodamente anche cento e uno... Quindi si tratta di lavorare ad una vera e propria tela di Penelope. Basta che qualcuno abbia lasciato una coppia non sterilizzata, che questa coppia non si lasci individuare e catturare, ed ecco, in un solo anno, almeno altri dodici gatti si aggiungono alla comunità.
Per giunta, la sterilizzazione, si parla di venti anni fa, era considerata una crudeltà, qualcosa contro natura, nel migliore dei casi un'eccentricità costosa. Ben pochi, a Roma, negli anni novanta fanno sterilizzare i propri gatti di casa. Anzi, sono contenti quando la propria femmina partorisce perché, certo, i gattini sono così carini, così dolci. Il problema è che, poi quando hanno due o tre mesi non si sa pù che cosa farne. Tranquilli. Se non si riesce (e non si riesce) a farli adottare da amici e parenti, c'è sempre Torre Argentina, dove ce ne sono già tanti...
Altro luogo deputato all'abbandono era il Colosseo. Ma da quando gli archi di accesso sono stati chiusi e c'è solo un passaggio dove i turisti sostano per ore prima di riuscire ad acquistare un biglietto di ingresso, l'agibilità del monumento come parcheggio di gatti indesiderati si è ridotta moltissimo, mentre quella di Torre Argentina è sempre totale.
Insomma i problemi sono tanti, ma sono in pochi a considerarli tali. In fondo si tratta solo di gatti, e per giunta randagi. Chi se ne occupa deve essere per forza qualcuno che non ha niente di meglio da fare, dalla visione molto limitata. Se giovane, una minorata mentale, se anziana, beh... a una certa età si rimbambisce... In ogni caso deve trattarsi di gente che cerca di compensare , cibando e curando i gatti, la propria mancanza d'affetto, o addirittura la propria incapacità di provare affetto per i propri simili. Quindi, in un certo senso, gli si fa anche del bene fornendo loro sempre nuovi oggetti d'amore...
L'altra signora era Lia. Passava ogni giorno di fronte all'area e si fermava spesso a parlare con Franca. Non potendo allora fare volontariato a causa di alcuni impegni, spesso e volontieri aiutava Franca ad acquistare il cibo necessario.
Mi raccontò, in seguito, che non aveva mai amato particolarmente i gatti sin quando non aveva incontrato quello che poi era diventato suo marito, lo scultore Oreste Dequel. Un uomo eccezionale, pieno di vita, di humour, di genialità e di piccole simpatiche smoderatezze da artista che Lia, sempre equilibrata e retta, aveva limitato con severità... e Oreste aveva messo giudizio, grato di affidarsi a lei per tutte le incombenze pratiche della vita. Oltre ad amare i gatti appassionatamente per se stessi, Oreste ne faceva spesso e volontieri il soggetto di tele e sculture. molto apprezzate in tutto il mondo. Da quando si era sposata, la sua vita e la sua casa si erano felicemente popolate di gatti di tutte le taglie e di tutti i colori. Ora, vedova da circa otto anni dell'uomo che era stato il grande amore della sua vita, le pareva di averlo più vicino accarezzando i gatti e facendo loro del bene.
Da quella persona pratica e diretta che era, visto che dimostravo di interessarmi ai gatti, Lia mi pose senza esitare la domanda fatale: sarei stata disposta ad assumermi un turno alla settimana, visto che l'ordine del giorno era tutto buchi? Perché no, risposi io, ma certo. Oramai ero una donna libera. Verrò il lunedì. Si tratta in fondo, pensavo, di un impegno limitato, transitorio, che non influirà sui miei progetti, per quanto ancora non precisamente delineati...
Il lunedì prossimo ero all'appuntamento e c'era anche Lia. Venne sempre, il lunedì. Mi disse poi che non aveva sperato di vedermi e che si era premurata comunque di venire per tenermi compagnia e incoraggiarmi... Come sempre avveduta e previdente, il calcolo di Lia era stato giustissimo. Confesso che rimanere da sola in quella grotta umida fredda e scura e popolata, oltre che di gatti, di scarafaggi che ne facevano la piazza d'armi delle loro esercitazioni – come era allora quello che poi divenne, dopo qualche anno, un posto tutto sommato, gradevole, simpatico e persino con qualche comodità - non era il massimo da augurarsi nella vita. Si trattava di aprire e distribuire le scatolette nelle varie postazioni, pulire il pulibile e soprattutto fare il rifornimento dell'acqua riempiendo diverse taniche alla fontanella di via dei Falegnami. Un po' noioso, un po' faticoso e senz'altro da evitare se non fosse stato per quelle povere bestiole da aiutare. Ma con una compagnia come Lia, simpatica, allegra, avveduta e intelligente, la cosa pesava molto meno, anzi, cominciava a diventare gradevole.
L'impegno settimanale divenne presto bisettimanale e poi quotidiano e poco dopo anche Lia divenne completamente operativa. Cominciammo a mettere insieme i nostri risparmi per acquistare il cibo necessario, ma presto ci rendemmo conto che ci saremmo ridotte in povertà se non avessimo cercato una soluzione. Potete leggere la nostra storia ed i suoi sviluppi in questo sito stesso, quindi è inutile che mi dilunghi sull'argomento.
Nel frattempo cresceva la simpatia e la fiducia reciproca. Le nostre "ambizioni" aumentarono. Le forze riunite non si sommano, ma si moltiplicano. Ormai lavoravamo insieme senza sosta tutti i giorni. Già dopo due o tre anni, Torre Argentina aveva assunto, almeno in parte, quella che poi sarebbe stata la sua fisionomia attuale.
Lia conosceva molto bene l'inglese. Prima di incontrare l'uomo che sarebbe divenuto suo marito, era vissuta tre anni negli Stati Uniti, dove aveva lavorato ed imparato la lingua. Quando tornò a Trieste, verso la fine degli anni '50, questa sua conoscenza dell'inglese, allora piuttosto rara tra le giovani donne, le ottenne un lavoro come venditrice sulle bellissime navi da crociera di una grande Compagnia Italiana. Fu così che in pochi anni riuscì a vedere un bel po' di mondo e fu durante uno di questi viaggi che conobbe Oreste... Ci faceva tanto piacere sentirla raccontare questa parte della sua vita, così romanzesca. Lei stessa ne era felice, anche solo al ricordo.
Poi ci fu il matrimonio, la scelta di Roma e di Trastevere che era all'epoca, ma é ancor oggi, il quartiere preferito dagli artisti di tutto il mondo. Poi, il successo sempre crescente di Oreste, l'acquisto di una casa a Vence, un paesino estremamente pittoresco sulla Costa Azzurra, dove passare l'estate insieme con una comunità internazionale di pittori e scultori amici. Fu a Vence che Lia imparò, essendo molto dotata per le lingue, a parlare anche il francese. Viaggi in Europa e negli Stati Uniti, dove Oreste veniva chiamato per tenere corsi di scultura o esposizioni di sue opere. Insomma quasi vent'anni di felicità e soddisfazioni. Purtroppo niente è eterno in questo mondo, tantomeno la felicità. Nell'85, Oreste la lasciava, colpito da una grave malattia. Era nel momento in cui, sessantenne, sulle soglie di una notorietà internazionale, avrebbe potuto cogliere il frutto del suo lavoro e diventare un grande nome popolare e acclamato al di là della ristretta cerchia dei suoi scelti clienti, degli esperti e dei critici d'arte.
Quello fu sicuramente il momento più doloroso della vita di Lia. Non ancora cinquantenne, e così giovanile e bella che coloro che non la conoscevano si volgevano a lei con il "signorina", non volle neanche pensare a "rifarsi una vita" come si dice. Scelse la solitudine e l'austerità. Mi raccontava che solo pochi giorni dopo la morte di Oreste, cominciarono a trattarla con il "signora". Non era cambiato nulla esteriormente, mi diceva, ma il dolore aveva operato automaticamente la transizione tra "signorina" e "signora" in quelli che la vedevano per la prima volta. La sua giovinezza era passata con Oreste. Eppure seppe vincere la depressione e vivere con grande dignità una vita tranquilla, modesta e, certo, molto meno eccitante di quella condotta con suo marito. Ma Lia era una delle donne più sagge che io abbia mai conosciuto e pienamente in grado di accettare i rovesci della vita. Possedeva il dono, rarissimo, di apprezzare quello che la vita le dava, nel poco e nel molto. Poteva essere ingenuamente contenta con poco o niente. Era felicemente portata ad apprezzare e valorizzare quello che aveva, le piccolissime soddisfazioni che poteva procurarsi, la piccola casetta di Trastevere che aveva visto la sua vita a fianco di Oreste.
E fu felice a Torre Argentina. Fu felice di vederla sviluppare mese dopo mese, anno dopo anno. Era ormai non una parte soltanto, ma tutta la sua vita. Era certa di essere approvata da Oreste per quel che faceva. Per anni lavorammo fianco a fianco, insieme con una compagnia meravigliosa di volontari che si aggiungevano, pochi all'inizio, e poi sempre di più. Solo dopo molte insistenze di questi volontari, che ci volevano bene, accettammo di riposarci, prima un giorno, poi due giorni alla settimana. Era una concessione dovuta all'età non più verde. Ma tutti devono riconoscere che l'energia, l'agilità, la forza vitale di Lia, la sua capacità di lavoro erano veramente eccezionali. Teneva, giustamente, moltissimo alla sua salute. Nei giorni di riposo si dedicava ad analisi, ad accertamenti, ad ecografie e check up. E lo faceva con entusiasmo, quasi, e con la gioia di avere, ogni volta, una risposta positiva e tranquillizzante. Si sentiva sana, forte e libera nel fisico e lucidissima nella mente, cosa che l'autorizzava a progettare una vecchiaia – peraltro da lei a da tutti giudicata ancora molto lontana - che avrebbe dovuto essere tranquilla, dignitosa e comunque piena di interessi, insomma una vecchiaia esemplare.
Ed era sempre curatissima ed elegante. Ma non svelo un segreto, anzi credo di farle piacere, raccontando che questa eleganza le costava veramente poco. Ogni domenica, il suo svago mattutino, prima di venire a Torre Argentina, era quello di girare per le bancarelle di Porta Portese, il mercato "delle pulci" domenicale notissimo a romani e stranieri, dove si può trovare di tutto a prezzi incredibili. Lia lo conosceva benissimo e sapeva dove rivolgersi per trovare il capo giusto, spesso firmato ma comunque sempre elegante e talvolta persino originale, con cui riforniva il suo guardaroba. E poi si divertiva a stupirci dicendo quanto le erano costati, nella "sua boutique" quella giacca di gran taglio, quel vestito delizioso, quella trouvaille sorprendente: sempre pochissimi euro, mai più di cinque o sei, altrimenti li giudicava "troppo cari" e ci rinunciava, mentre non rinunciava mai al suo buon senso.
E grazie alla sua figura sempre snella ed elegante, quegli abiti facevano su di lei una grandissima figura, come se li avesse scelti in una vera boutique di via dei Condotti o di via Borgognona.
Poi non bisogna dimenticare, perché certo lei non lo vorrebbe, quel suo carattere diretto, pochissimo diplomatico e molto irruente. Quella donnina curata, elegante e apparentemente fragile (une jolie petite femme, come si direbbe in francese) sapeva trasformarsi in un sergente maggiore. Sono rimasti nella leggenda di TA quei suoi arrivi frenetici e ciclonici la mattina, pronta a fare le pulci a tutti, con una sfilza di ordini già pronti da sparare ed un elenco di cose da ispezionare, nessuna delle quali, ovviamente, era stata fatta secondo i suoi criteri... Poi, via via che passava la giornata, che le cose prendevano la forma che lei avrebbe voluto. si addolciva, ma guai a interpellarla mentre era nell'esercizio delle sue funzioni... si rischiava una rispostaccia che talvolta impauriva la volontaria novella un po' troppo permalosa e la faceva scappare. Queste sfuriate, invece, i volontari più intelligenti le consideravano come una medaglia sul campo, e si rivelarono comunque un modo "sui generis" per selezionarli e distillarli.... Rimanevano i più motivati e i più perspicaci, quelli che capivano quanto c'era di bontà e generosità sotto quella scorza momentanea e quanto le premesse, per amore dei gatti, che tutto fosse ben fatto ed in ordine. Poi veniva il momento del relax e tutti si rendevano conto della simpatia, del senso dell'humour di questa donna generosissima e tenera. Tanto tenera, forse, da aver talvolta bisogno di fingere di essere una lady di ferro...
Tutti rimanevano un po' sconcertati dal fatto che, passati due secondi dopo una rispostaccia per le rime anche piuttosto sconvolgente, lei si potesse rivolgere al "rabbuffato" con un sorriso sincero, completamente e veramente dimentica della sfuriata di pochi minuti prima... Ma tutti coloro che imparavano - magari a loro spese - a conoscerla, non potevano fare a meno di volerle bene.
E la sua vita si svolgeva regolare. I gatti, per la maggior parte della giornata, poi, almeno una volte la settimana, la sua grande passione, il cinema, di cui era sempre a giorno, sempre informata, e poi la lettura, soprattutto in inglese e francese, tanto per tenere sempre in esercizio le sue conoscenze linguistiche
Talvolta la visita ad una mostra, in omaggio all'arte di suo marito. Raramente un viaggetto di pochissimi giorni all'estero. Non posso stare troppo lontana da Torre Argentina, diceva, tornando anche due giorni prima del previsto, e faceva anche capire, senza troppe cerimonie, che non si faceva troppe illusioni sulle nostre capacità, soprattutto su quelle della sottoscritta, che non è mai stata una persona pratica. Forse era per questo che ci completavamo benissimo, del tutto diverse, ma sicuramente complementari.
Sapendo quanto fossi distratta e noncurante di tutto quello che riguardava le praticità della mia vita, lei arrivava a pensare che, rimanendo a scrivere tutto il giorno al computer, d'inverno mi avrebbero fatto comodo dei calzini pesanti, ed ecco materializzarsi i calzini, o dei mezziguanti per le mani, o qualsiasi cosa trovasse a Porta Portese che potesse contribuire al mio benessere, delle vestaglie molto pesanti, per esempio, o delle suolette da aggiungere alle scarpe o talvolta anche dei capi di vestiario che avrebbe voluto farmi indossare, ma che io snobbavo se erano un po' troppo colorati...Pioveva e non avevo l'ombrello? Usciva zitta zitta e me lo procurava nel vicino negozietto cinese...Avrebbe tenuto molto che anch'io fossi elegante e curata come lei...Una lotta continua, questa, e con sua grande disdetta, del tutto vana perché, da un certo momento della mia vita, avevo deciso di infischiarmene del mio aspetto esteriore, cosa che lei non poteva ammettere...Avrebbe voluto vedermi bionda e non bianca, truccata e non slavata, ma ahimè, non le ho mai dato questa soddisfazione. Sono troppo pigra, le dicevo, per addossarmi il pensiero quotidiano della mia "immagine". Certe volte mi guatava con aperta disapprovazione...
Nel 98 subii un'operazione piuttosto grave, dopo la quale ebbi una specie di collasso fisico e morale. Sarei rimasta sola a casa mia se Lia non avesse insistito (e sapeva essere molto convincente) perché passassi la convalescenza a casa sua. Mi cedette la sua camera e per più di tre mesi si adattò a dormire su un divano. Una sorella non avrebbe avuto più premure, più pazienza, più dolcezza di quante lei ebbe per me. Questo non lo dimenticherò mai.
La sera dopo le otto, immancabilmente, Lia era a letto, televisione accesa, libro sul tavolino da notte e i suoi gatti acciambellati accanto a lei, ai suoi fianchi, sulla sua testa, ai suoi piedi. Le telefonavo, accertandomi che non fossero passate le nove, che per lei erano notte fonda, e si parlava di quanto accaduto durante la giornata, si esaminavano i problemi, si cercavano le soluzioni o semplicemente ci si augurava la buona notte. Avrò sempre nelle orecchie il tono della sua voce: soddisfatto, rilassato, talvolta addirittura felice: sono a letto con i miei gattoni, al calduccio. Cosa c'è di meglio?
Se alle otto e mezzo non era in casa, voleva dire che era andata al cinema, non si sfuggiva. Una sera, però, alle 10, ancora non rispondeva al telefono. A quell'ora sarebbe stata certamente a casa, anche dopo il cinema. Data le ferrea routine di Lia, cominciai a preoccuparmi seriamente e, siccome sono di temperamento ansioso, dopo breve incertezza, chiamai un tassì e mi precipitai a casa sua, per verificare. Al citofono, nessuno rispondeva. Salgo al suo piano e suono alla sua porta: niente e nessuno. Faccio intervenire la vicina. Preoccupatissime, ci mettiamo a tempestare di colpi la porta che, all'improvviso, si apre mostrando Lia in vestaglia, assonnata e sommamente meravigliata per lo sgarbatissimo intervento... La semplice spiegazione è che certe volte il sonno del giusto di Lia era talmente "giusto" che non aveva sentito né telefono, né campanello, né citofono, ma la spiegazione vera è forse che il suono del telefono, posato sul letto, era stato attutito dalle coperte, o magari da qualche gatto che ci si era accoccolato sopra. Insomma Lia capì che non si sfugge allo zelo delle amiche ansiose e da allora, per evitare sorprese, mi rendeva conto ogni sera del programma delle sue serate, e mi telefonava appena rientrata a casa.
Chi avrebbe pensato che questa routine semplice, austera, quasi povera, che nessun men che placido futuro avrebbe osato disturbare, sarebbe stata sconvolta di botto, per sempre, in due o tre settimane, e nel modo più crudele? Del resto, la mancanza di ansia era una delle caratteristiche di Lia. Non poteva mai pensare al peggio, a meno che il peggio non le si rovesciasse addosso in tutta la sua realtà ed anche allora riusciva sempre ad affrontarlo con razionalità e coraggio.
Ed eccoci arrivati a quel pomeriggio terribile, in cui venne convocata all'ospedale, e le fu richiesto di portare con sé almeno due parenti. Parenti non ce n'erano. La accompagnammo io e Carla. E sentimmo, allibite e distrutte, la lettura della sentenza. Il fulmine improvviso che spazza via tutto. Tre mesi di vita, forse meno. Ultima possibilità, dall'esito assolutamente incerto, un'operazione estrema che, forse, avrebbe potuto concederle ancora tre o quattro anni di vita "decente".
Il grande professore che le spiegava i pro e i contro dell'operazione pericolosissima che avrebbe potuto costarle la vita immediatamente, anche sotto i ferri, era accasciato. Era seduto, le spalle curve, la testa sempre più china. "Ci rifletta, signora. Le possibilità ci sono, ma sono minime. Ci rifletta".
Lia era impenetrabile. Aveva ascoltato in silenzio, con la faccia che diventava sempre più piccola.
"Ho già riflettuto. Non ho scelta. Mi operi. Si faccia coraggio, professore".
Ecco. "Si faccia coraggio, professore". Queste sono le ultime parole di Lia che ricorderò per sempre. Due giorni dopo era inghiottita dalla camera operatoria. Aveva sorriso, abbracciandoci, prima di entrare. Eravamo ottimiste: Lia è troppo forte, la sfangherà. Otto ore di attesa. L'operazione è andata bene, il professore è soddisfatto e felice ma il risveglio, che avrebbe dovuto esserci dopo mezz'ora, si fa attendere per un'ora, per due, poi per tutta la notte.
E poi l'altro verdetto: durante o subito dopo l'operazione, c'è stata una ischemia devastante. Dal 14 di febbraio al momento della morte, il 3 di luglio, Lia non ha più parlato, non ha più potuto muovere la parte sinistra del suo corpo, non ha più potuto inghiottire nulla. E però sentiva e capiva tutto. Chiudendo gli occhi o stringendoci la mano con la destra, l'unica che potesse muovere, rispondeva sì o no alle nostre domande. Fummo contente che si rendesse conto di avercela fatta a sopravvivere all'operazione, e riuscimmo, in un primo tempo, a farle credere che tutto sarebbe andato a posto col tempo. Ma poi capimmo che non avremmo potuto ingannarla. La sua intelligenza era troppo viva per non capire la verità che era piombata su di lei schiacciandola senza pietà.
Non poteva accettare questo scombussolamento di un programma costruito con tanta cura, tenendo conto di tutte le variabili dell'esistenza, tranne quella che è invariabile per tutti.
Non poteva accettare questo tradimento da parte di un organismo così scrutato, così seguito, così ecografato, radiografato, esaminato; questa feroce ironia che la colpiva nell'organo che era sempre risultato il più sano, tanto da essere posto un po' all'ultimo posto delle priorità investigative.
E non poteva parlare, non poteva chiedere, non poteva nemmeno lamentarsi. Noi vedevamo le domande disperate dei suoi occhi, ma non potevamo rispondere se non con pietose, orribili bugie.
Lia era una donna sola, senza alcun parente in Italia. Se non ci fosse stata una "comunità "di Torre Argentina non avrebbe potuto contare su nessuno per assisterla. Per noi è stato un privilegio starle vicino sino all'ultimo momento. Una nostra volontaria italo-olandese si è prodigata illimitatamente perché avesse la migliore assistenza possibile ed i migliori ospedali di Roma, sempre nella speranza che, comunque, data la sua fibra incredibile, potesse salvarsi, potesse riprendersi in qualche modo.
Le sue sofferenze, forse brevi rispetto a tante altre, sono state nondimeno atroci e, forse, più morali che fisiche.
Ma di questo basta. Lia ora riposa in pace nel suo cimitero di Trieste, nella stessa tomba di Oreste. Per suo espresso desiderio, sul marmo che la ricopre, c'è scritto " Lasciate che i gatti vengano a giocare sulla nostra tomba. Li abbiamo amati tanto in vita". Ci sono naturalmente gatti nel Cimitero di S. Anna che sostituiscono benissimo quelli di Torre Argentina.
Per chi crede, Lia è morta in pace con Dio e prega per noi e per Torre Argentina. Chi può e vuole, preghi per lei e per Oreste. Farà bene a tutti, ai vivi e ai morti, che sono sempre, comunque, diversamente vivi.
E facciamoci coraggio tutti, come direbbe Lia.

Silvia Viviani


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