Chi siamo

Un po' di Storia Romana è felina.

Il luogo sacro su cui oggi i nostri gatti passeggiano fu condiviso da un grande Romano: Giulio Cesare. Fu proprio qui, nel luogo che più di venti secoli fa era l’estrema propaggine della Curia di Pompeo, che Giulio Cesare fu colpito a morte da Bruto e dagli altri congiurati. Correva l’anno 44 A.C.
Più di duemila anni sono trascorsi da allora, ma sicuramente qualcosa dello spirito di Cesare sopravvive in alcuni dei nostri aristocratici gatti che presidiano orgogliosamente le rovine degli antichi templi.

Le Gattare a Roma.

Nell’anno 1929 furono riportati alla luce i ruderi dell’Area Sacra di Torre Argentina. Mici randagi o abbandonati vi si stabiliscono, attratti dalla protezione offerta loro dai siti archeologi, situati al di sotto del livello stradale.
Da quello stesso anno ha inizio una processione di gattare e gattari, come vengono chiamate con una certa condiscendenza dai romani le persone che si prendono cura dei gatti e che portano loro più o meno regolarmente del cibo.
Inoltre fra gli abitanti si diffonde l’abitudine di abbandonare a Torre Argentina i gatti indesiderati. Se la coscienza non è proprio tranquilla, ci si rassicura pensando che uno più, uno meno, non può fare grande differenza. Se sapessero il carico di fatica e di sofferenza sopportato dalle gattare che devono trasportare il cibo per centinaia di gatti, e che li vedono nascere incontrollabilmente, e morire di ogni tipo di malattia, senza poter far altro che portar via i piccoli cadaveri, forse non lo farebbero.

Una Diva Gattara

La più famosa fra queste gattofile (termine più politicamente corretto rispetto a gattare, che noi tuttavia preferiamo) fu la grande attrice Anna Magnani, la Musa del neorealismo cinematografico. Abitava non lontano da Torre Argentina e molto spesso, quando non era impedita da impegni, portava personalmente il cibo alle bestiole della colonia. Anche in casa viveva circondata di gatti. Il 1968 è l’anno della morte di questa leggenda del cinema italiano, che purtroppo non abbiamo avuto modo di conoscere personalmente.
I gatti godono di molte simpatie nel mondo del teatro. Uno degli ultimi gattari qui a Torre Argentina di cui abbiamo avuto notizia fu l’attore italiano Antonio Crast, noto soprattutto per le sue grandi interpretazioni shakespeariane. Fu lui ad ottenere la chiave di un sotterraneo adiacente alle rovine che potesse offrire un riparo più sicuro alle bestiole e dove poter conservare il cibo che acquistava mensilmente. Fu lui a far costruire un recinto dove proteggere i gattini che nascevano o venivano abbandonati regolarmente in primavera. Si dice che avesse espresso il desiderio di poter morire tra le sue adorate bestiole. Almeno in questo fu accontentato dal destino, perchè fu colpito da un collasso mortale proprio mentre le accudiva. Ora ci fa piacere pensarlo vicino al suo Shakespeare, circondato di gatti felici e immortali.
L’idea della sterilizzazione come unico baluardo contro la crescita incontrollata della popolazione felina non si afferma in Italia che intorno agli anni ‘80, sebbene ancora oggi, più di trent’anni dopo, non sia ancora accettata completamente. Ed il randagismo è ben lontano dall'essere ridotto a proporzioni ragionevoli nella nostra città .
Fu proprio negli anni ‘80 che Franca Stoppi, anche lei attrice di prosa, raccolse la staffetta dal suo collega e coraggiosamente si impegnò non solo a nutrire ma anche a far sterilizzare i gatti dell’area. Fu così che la popolazione felina in loco cominciò ad essere controllata ed a ricevere anche qualche cura, grazie alla immensa disponibilità  del Dr. Stefano Baldi che, da allora, è il nume tutelare, clinicamente parlando, della colonia.

Storia di Lia Dequel e Silvia Viviani.

Ma lo sforzo  di Franca Stoppi la portò sull’orlo del collasso emotivo ed economico.
Il caso volle che nel 1993, Lia Dequel ed io (Silvia Viviani) incrociassimo reciprocamente le nostre strade e quella di Franca. Entrambe molto amanti dei gatti, cominciammo a darle una mano, colpite dalla serietà  e dalla generosità  con cui si era assunta un compito così difficile e stressante. Presto ci rendemmo conto che il lavoro che ci stava di fronte era qualcosa che ci avrebbe impegnate strenuamente. Nonostante le sterilizzazioni fatte da Franca, la popolazione, soprattutto nelle stagioni calde, tendeva sempre a crescere in modo esponenziale, a causa degli abbandoni. E lo sforzo finanziario e fisico di organizzare sia pure l’embrione di un vero e proprio rifugio era più di quanto potessimo sopportare. Bisognava trovare una soluzione.
Poco dopo Franca dovette lasciare la colonia per un impellente trasferimento (ma seguita ancora a lavorare con coraggio per i gatti abbandonati di una città dell’ Umbria). Rimanevamo in due, più qualche occasionale aiuto.

Il sotterraneo.

Le condizioni erano a dir poco primitive. Lo spazio ottenuto dal nostro predecessore, Antonio Crast, erano squallidi stanzoni a volta bassa che solo delle reti metalliche separavano dall’esterno, senza acqua e senza luce ma con abbondanza di umidità.
Per un anno lavorammo strenuamente in queste condizioni frustranti. Ricordo ancora una lampada a gas che proiettava luci ed ombre sul tetto basso dello stanzone, quando lavoravamo nei pomeriggi e nelle sere dall’ inverno, e, ridendo, ci paragonavamo a streghe nel loro antro, circondate dagli immancabili gatti. Le medicine che potevamo comprare stavano tutte in una scatola da scarpe. A parte le sterilizzazioni e le cure più  necessarie, non potevamo sognare di fare altro. Censimmo circa 550 gatti nell'area. Ci chiedevamo quanto potessimo durare e se sarebbe mai arrivato un aiuto a toglierci da quella situazione.
Le nostre preghiere ottennero una prima risposta nel 1995 quando si presentò  una salvatrice, una signora Inglese, che ci parlò  degli incredibili risultati ottenuti da alcune organizzazioni britanniche nel campo della protezione degli animali e ci mise in contatto con loro. AISPA fu la prima associazione a darci un supporto morale e materiale e ad informarci su come  molti rifugi inglesi all’ avanguardia agivano sul territorio.  Facemmo tesoro di tutto ciò e ci proponemmo di seguire l’ esempio di queste organizzazioni che avevano esperienze decennali cui attingere.

L’ONU dei gatti.

Dovevamo raccogliere fondi  di cui avevamo disperato bisogno! Per quanto primitiva, la nostra postazione aveva un vantaggio: l’ importanza storica e paesaggistica dell’ area archelogica, in pieno centro di Roma, la rendeva (e la renderà  sempre) una grande attrazione turistica, con conseguente passaggio di gente di ogni nazionalità . Notammo che, non appena un gatto saltava su un capitello o vi dormicchiava sopra, quel capitello diventava interessantissimo e scatenava vere e proprie tempeste di flash, fino ad allora rimasti inattivi. Rintuzzando il nostro orgoglio e dominando il naturale imbarazzo, cominciammo ad avvicinare quei turisti che sembravano interessati più ai gatti che ai ruderi, parlando loro dei nostri problemi e chiedendo, se possibile, un aiuto per quelle bestiole che sembravano aver attirato la loro attenzione. Fortunatamente, sia Lia che io parliamo abbastanza correntemente inglese e francese e la comunicazione non era difficile. Con nostra immensa sorpresa, la cosa funzionò! Non solo riuscimmo a raggranellare del denaro ma attirammo un certo numero di volontari, soprattutto donne, di differenti nazionalità , Italiani. Francesi, Inglese, Tedeschi, Americani, Olandesi. Diventammo una sorta di Nazioni Unite per i Gatti! Per ottenere più fondi cominciammo ad organizzare cene, aste, lotterie e mercatini. A settembre del 1998 un Capitano della Marina degli Stati Uniti, J. H. e sua moglie C. aprirono la loro casa qui a Roma a 120 persone per una cena di beneficenza. In seguito, A. R., moglie dell’ allora Ambasciatore del Regno Unito ci permise di tenere una cena di beneficenza presso la loro residenza privata, Villa Volkonsky, a cui presero parte 500 persone. I nostri gatti entravano così nel mondo della diplomazia internazionale, sebbene, come Cenerentola, a mezzanotte dovessero rientrare nel loro consueto squallore.

Un’iniezione di entusiasmo.


Con i fondi ottenuti fummo in grado di migliorare la qualità  del cibo, la quantità  e qualità  delle cure. Questa vera e propria iniezione di entusiasmo e coraggio ci motivò ad essere sempre più professionali ed organizzati nelle nostre operazioni giornaliere.
Nel frattempo proseguiva la lotta per ottenere condizioni di maggiore vivibilità . Avevamo due priorità : l’acqua corrente (per almeno tre anni siamo andati a rifornirci di acqua con i secchi alla fontanella più vicina) e la luce elettrica. Dopo molte difficoltà siamo riusciti nel nostro intento. Abbiamo ottenuto l’acqua e la corrente elettrica, ed in seguito persino il telefono, un lusso inaudito. Un altro lusso ci è ancora negato: avere un bagno, a causa della mancanza di un allaccio in fogna. Ma noi siamo puri spiriti senza bisogni fisiologici ed andiamo avanti!

Gatti di Roma

Venti anni dopo… ed oltre!

La riduzione del randagismo felino è il principale scopo dell’attività della colonia di Torre Argentina che vuole essere conosciuta soprattutto come un Centro di Promozione della Sterilizzazione.

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